mercoledì 15 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 44. Com'era verde la mia valle

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Dopo la laurea, Silvia Ricci-Orsini era tornata a vivere presso la sua famiglia a Casemurate, ma non era stato un ritorno particolarmente piacevole: tutto le pareva più piccolo, angusto, diverso da come se lo ricordava.
Tanti anni di vita in città, specie quelli a Bologna, le avevano allargato gli orizzonti in maniera tale da farle apparire insignificanti tutte le trame che ruotavano intorno a Villa Orsini, al Feudo e alla Contea.
Suo padre, Ettore Ricci, l'aveva "accolta" da par suo:
<<Ecco la figliola prodiga che torna al proprio ovile, ma per lei non ammazzeremo il vitello grasso. Te la sei già goduta abbastanza!>>
<<Ti voglio bene anch'io, papà>>
Sua madre, Diana Orsini Balducci, Contessa di Casemurate, fu più diplomatica:
<<Per quanto io sia immensamente felice di averti di nuovo qui con me, non posso fare a meno di chiedermi come mai tu non abbia preferito rimanere a Bologna, o quantomeno Forlì. Ti avrei pagato l'affitto, almeno nell'attesa che ti chiamassero a insegnare. Ah, io alla tua età sarei voluta tanto fuggire via da questo posto di bigotti retrogradi...>> e scoccò un'occhiata feroce contro la governante.
<<Ti voglio bene anch'io, mamma>>
Poi si fece avanti la governante, Ida Braghiri:
<<Ma Silvia, come sei magra, come sei pallida, denutrita... sei sicura di star bene?>>
<<Ti voglio bene anch'io Ida. Ora vorrei andare a salutare mia nonna... sarà sempre nel Salotto Liberty, immagino?>>
<<Naturalmente! La Contessa Madre Emilia e il suo Salotto sono inseparabili>>
Silvia sorrise:
<<Diciamo che più che altro mia nonna Emilia è inseparabile dalla sua bottiglia di vino, ma a quanto mi è stato detto, pare che sia l'unica alcolista che tragga giovamento fisico dalla sua condizione>>
<<Senza dubbio. Ha una salute di ferro, almeno a livello fisico>>
Quando Silvia arrivò nel Salotto Liberty, ebbe come un deja vu.
Tutto era rimasto immobile, invariato, come se le disgrazie che erano capitate alla famiglia Orsini non avessero potuto intaccare in alcun modo la bellezza di quel luogo, che era il cuore della Villa, la quale a sua volta era il cuore del Feudo Orsini, che a sua volta era il cuore della Contea di Casemurate.
Fuori tutto era cambiato, ma lì ogni cosa, compresa l'anziana Contessa Madre Emilia, era identica a come se la ricordava:
<<Nonna, sono tornata>>
La Contessa Madre si mise il monocolo sull'occhio destro:
<<Silvia! Sei davvero tu! Quanto tempo è passato! Ma io non conto più gli anni, sono troppo vecchia... non voglio nemmeno festeggiare i compleanni. Alla mia età servono solo a ricordare quanto poco tempo ci è rimasto... Ma non parliamo dei miei anni, vieni qui, fatti abbracciare>>
Come spesso succede, le madri che sono state severe con i figli, diventano nonne affettuosissime e molto tolleranti con i nipoti.
<<Parlami di te. Negli ultimi tempi siamo stati così presi dalle vicende di tua cugina Anna e di quel disgraziato che l'ha messa incinta, che abbiamo trascurato la nostra brava ragazza. Avrai avuto, spero, qualche storia romantica?>>
<<Ho avuto dei corteggiatori, tanti, ma ho rifiutato le loro proposte, perché non ero innamorata>>
<<Ah, mi sembra di sentire tua madre quando aveva la tua stessa età>>
<<Io sono molto diversa da lei!>>
<<Sei diversa da ciò che lei è adesso, Silvia, ma quando era giovane anche tua madre era piena di sogni. Ha sofferto tanto. E io ho la mia buona parte di responsabilità, in questo, e due terzi del vino che bevo serve per mettere a tacere, almeno per qualche ora, i miei sensi di colpa>>
Era una confessione sincera, da parte dell'anziana matriarca.
Aveva avuto anche lei i suoi presagi.
Come Marco Antonio, prima dell'ultima battaglia, aveva udito allontanarsi i passi del cambio della guardia, allo stesso modo la vecchia Emilia Orsini, nata Paolucci de' Calboli, aveva udito gli dei propizi allontanarsi da lei e da tutta la sua stirpe.
Silvia cercò di sdrammatizzare:
<<Ognuno di noi ha fatto ciò che era necessario per tenere in piedi questa famiglia>>
La vecchia Emilia scosse il capo dai capelli candidi come la neve:
<<Ci siamo spinti troppo oltre, Silvia. Siamo stati troppo avidi. Ah, se potessi ritornare indietro! Quando misi piede per la prima volta in questa casa ero una ragazzina inesperta, ma rimasi impressionata dalla sua bellezza. Erano altri tempi.  Non c'erano le strade asfaltate, non c'erano le automobili... era tutto così verde e tranquillo, come in un sogno... 
A volte chiudo gli occhi sperando che sia ancora così.
Com'era verde la mia valle!
Ed ora cosa ne resta?
Ho avuto sei figli, e sono sopravvissuta a quattro di loro. E' una cosa che non dovrebbe mai accadere. 
Mi dicono di ricordare i tempi felici, ma non serve.
La felicità passata non è più felicità, il dolore passato è ancora dolore.
Perdona queste mie svenevolezze... sono una vecchia... e alcolizzata per giunta... questa è la realtà>>
Silvia le prese entrambe le mani, quelle mani ormai così fragili e piene di rughe:
<<Non dire così, nonna. 
Tu resisterai e combatterai ancora. 
C'è una poesia che dice: "Non andartene docile in quella buona notte. I vecchi dovrebbero infiammarsi e infuriarsi contro il finire del giorno; infuria, infuria, contro il morire della luce".
Vivrai ancora a lungo.
 Hai già visto nascere i tuoi primi pronipoti, io te ne darò degli altri, quando troverò l'uomo della mia vita. Rifonderò la famiglia, una famiglia dove l'amore venga al primo posto. 
Devo solo trovare l'uomo giusto. Chissà dov'è adesso... chissà chi è... ma sento che c'è, da qualche parte, ci deve essere... e nemmeno troppo lontano da qui>>