sabato 11 marzo 2017

La Cina sta colonizzando l'Africa






Negli ultimi cinque anni la presenza militare cinese in Africa è cambiata. Fino al 2012 si limitava a fornire supporto di basso profilo nelle operazioni internazionali di peacekeeping, preferiva mandare ingegneri e medici che militari. Oggi non è più così. Di fatto la Repubblica popolare è l’ottavo paese per numero di unità militari che partecipano alle operazioni dei Caschi blu in Africa e il primo in assoluto tra i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu. Mathieu Duchatel, analista dell’European Council on Foreign Relations, spiega cosa sta succedendo.


Com’è la presenza cinese in Africa?
«Dal 2000 la presenza in Africa della Cina cresce esponenzialmente. Ma il segno dei tempi che cambiano sono proprio le forze militari. Un tempo, a parte qualche considerevole eccezione durante la Guerra Fredda, l’influenza cinese era limitata al campo economico. La Repubblica popolare si presentava come un partner per lo sviluppo dei Paesi africani che avrebbe aderito al “principio di non interferenza” negli affari interni di uno Stato. Non c’era nessun interesse ad avere un ruolo nella sicurezza».

La Libia nella morsa delle milizie armate








La Libia nella morsa delle milizie armate

di FILIPPO FEMIA

Tre governi, decine di milizie armate e una sola ambasciata (quella italiana) presente sul territorio. Geopoliticamente lo scenario libico è fra i più intricati a livello globale. Mattia Toaldo, analista senior dell’European Council on Foreign Relations, spiega il perché.

Qual è la situazione politica attuale in Libia?
«Il Paese è diviso in tre governi: il “Governo di Accordo Nazionale” di Fayez al-Sarraj a Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale, inclusa l’Italia; il regime del generale Khalifa Haftar, vicino all’Egitto, nell’est del Paese; un “Governo di Salvezza Nazionale” non riconosciuto e basato a Tripoli, vicino agli islamisti radicali e guidato da Khalifa Ghwell. C’è un accordo Onu firmato a dicembre 2015 che ha portato alla nascita del governo Sarraj, ma gli altri due governi non l’hanno mai accettato. Nessuno dei tre governi ha una forte presa sul Paese e, se questa è la “mappa politica”, quella che conta davvero è quella militare dei diversi gruppi che controllano porzioni di territorio».

Quanto influiscono le bande armate sulla crisi?
«Molto. Ci sono decine di milizie e circa 200mila miliziani che in maggior parte ricevono uno stipendio statale. Questi gruppi armati non hanno esitato in passato ad assaltare le sedi governative per affermare la loro supremazia. Nel caso del generale Haftar, è lui l’uomo realmente al comando in Cirenaica nonostante esistano formalmente un parlamento e un governo. I gruppi armati si possono dividere in tre categorie: l’LNA (Esercito Nazionale Libico) di Haftar che include pezzi del vecchio esercito di Gheddafi e gruppi anti-islamisti; i gruppi non-arabi nel sud, soprattutto i Tuareg e i Tebu; le milizie delle diverse “città-stato” della Tripolitania a partire da quelle di Misurata e Zintan che ebbero un ruolo chiave nella caduta del colonnello».