mercoledì 8 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 42. Diana Orsini diventa nonna

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In un ritratto a olio del 1969, all'età di 56 anni, Diana Orsini Balducci, Contessa di Casemurate, dimostrava ancora grande fascino e attrattiva, anche se due anni prima era diventata nonna.
L'arrivo del primo nipote è sempre un evento che segna uno spartiacque nella vita di una persona.
Nel caso di Diana Orsini si trattò di uno spartiacque completamente positivo, perché il rapporto che la legò ai suoi numerosi nipoti e pronipoti fu così speciale che continuò a vivere nella memoria e nell'immaginario di ognuno di loro per molto tempo, assumendo a lungo andare quei contorni mitici che erano presenti in embrione nella storia romanzesca di una famiglia a cui ci si sentiva fieri di appartenere.
Il primo nipote di Diana ed Ettore Ricci si chiamava Fabrizio Spreti, ed era nato nel 1967 dal matrimonio di Margherita Ricci-Orsini con Ercole Spreti, proprietario terriero e fratello minore del marchese Vittorio Spreti di Serachieda.
I due si erano sposati nel giugno del 1965, presso la Chiesa di Pievequinta, come tradizione di famiglia, ma la festa si era tenuta a Villa Spreti, per sancire l'alleanza tra le due nobili casate che per secoli si erano contese il controllo della Contea di Casemurate.
Margherita ed Ercole andarono a vivere in una tenuta che era parte del Feudo Spreti, convalidando così, anche dal punto di vista residenziale ed economico, l'alleanza degli Spreti con i Ricci-Orsini, che si concretizzò poi con la creazione di una Società in Accomandita Semplice per la gestione del Latifondo, la cui amministrazione fu affidata ad Ettore Ricci.
Per Ettore fu il coronamento di una scalata sociale che durava da una vita.
Diana aveva assistito a quel matrimonio con un senso di liberazione.
Si chiudeva infatti un ciclo, iniziato trent'anni prima con le sue stesse nozze.
Allora si era trattato di sacrificarsi per salvare la famiglia dalla rovina economica.
Ora, dopo decenni di sofferenze, si raccoglievano i frutti benefici di quel sacrifico.
I Ricci-Orsini erano al centro di una rete di alleanze che estendeva la loro influenza ben oltre i confini angusti della Villa, del Feudo e della Contea, e c'era più bisogno di ricorrere alla decrepita Signorina De Toschi per ottenere una raccomandazione, di cui peraltro, all'epoca, non avevano nemmeno bisogno.
Ai tempi in cui fu dipinto il ritratto, le tre figlie di Diana ed Ettore erano ormai adulte e con una loro vita.
Margherita aveva dato alla luce Fabrizio, Silvia si era laureata e Isabella si era fidanzata.
Ettore era completamente assorbito dal lavoro e non si prendeva nemmeno più la briga di nascondere le sue avventure extraconiugali.
La vecchia Contessa Madre Emilia aveva trovato un suo equilibrio, passando il tempo nel Salotto Liberty ad assaporare i suoi vini pregiati e i suoi pasticcini, leggendo romanzi rosa e riviste di gossip: diventò una simpatica vecchietta e una bisnonna molto divertente per i suoi tanti pronipoti che ancora ricordano i giorni in cui porgeva loro biscotti burrosi intinti nel rosolio.
Questa fu una sorta di età dell'oro, non tanto per il primo nipote, che forse portava con sé la responsabilità gravosa dei primogeniti, quanto piuttosto per gli altri che vennero in seguito, soprattutto per quello più giovane, che sarebbe nato dieci anni dopo, e che fu senza dubbio il più amato, e protetto e coccolato da tutta la famiglia
Molto tempo dopo, quel nipote più giovane, divenuto adulto, si sarebbe chiesto se fosse possibile essere stati troppo amati, troppo coccolati, forse troppo felici...
Si sarebbe anche chiesto, quel nipote più giovane, quando non era più giovane, se fosse un atto di orgoglio scrivere di sé in terza persona, come Cesare.
Forse di questo, e di altri atti di orgoglio, avrebbe chiesto perdono, pur senza conoscere mai la risposta.
Ma se c'è un'attenuante, nel voler rievocare da lontano certe vicende dai contorni romanzeschi, i cui protagonisti sono morti o hanno raggiunto la vecchiaia, è per l'intima convinzione che gran parte di ciò che sarebbe accaduto in seguito a chi scrive, affondava le sue radici nella storia di tante persone, le cui vite, quasi parallele, avevano finito per incontrarsi tutte in un unico punto e cioè lo stesso scrivente.
Tutti quei personaggi continuavano a vivere e a discutere e ad agitarsi dentro di lui.
E se c'era la percezione di far parte di qualcosa di grande, di speciale, quasi come se si stesse vivendo dentro a un film, ciò era dovuto al fatto che tante persone così straordinarie non potevano incrociare le loro vite senza lasciare un segno che, nel bene o nel male, sarebbe rimasto indelebile nella memoria di molti.
E dunque il romanzo di questi personaggi e delle loro vite quasi parallele, trovando un autore in colui che per molto tempo fu il più giovane della stessa loro discendenza, deve continuare, affinché sia fatta luce su tutti gli eventi straordinari che seguirono, perché se è vero che la pace in famiglia era tornata, è anche vero che non sarebbe durata per sempre.