lunedì 5 giugno 2017

Le vere ragioni della rottura tra Arabia Saudita e Qatar (e le sue conseguenze per tutti noi)

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Fino a ieri la grande stampa pensava che ci fossero solo due schieramenti nello scontro che sta dilaniando il mondo arabo a partire dal 2010, l'anno della Falsa Primavera, che ha portato solo morte, guerra e devastazione dove prima c'erano pace, laicità ed economie sociali in fase di sviluppo.
Si pensava che gli schieramenti fossero due e cioè quello sunnita guidato dall'Arabia Saudita e appoggiato dagli Stati Uniti e quello sciita guidato dall'Iran e appoggiato dalla Russia.
In realtà gli analisti dell'Ispi (Istituto studi sui paesi islamici) aveva individuato, attraverso l'illuminante mappa che abbiamo mostrato in apertura di questo articolo, che c'era almeno un terzo schieramento, più altri attori di difficile collocazione nell'ambito del grande gioco mediorientale e delle guerre in Libia, Siria, Iraq e Yemen.
Questo terzo schieramento comprende appunto il Qatar e la Turchia, alleati in nome della comune vicinanza dell'Emiro del Qatar e del presidente turco Erdogan alla Fratellanza Mussulmana, che attualmente controlla il governo di Tripoli (ma non quello di Tobruk del generale Haftar, grande alleato dell'Egitto) e la striscia di Gaza governata da Hamas.
I Fratelli Musulmani (in arabo: جماعة الإخوان المسلمين‎, Jamaʿat al-Iḫwān al-muslimīn, letteralmente Associazione dei Fratelli Musulmani; spesso solo الإخوان المسلمون, al-Iḫwān al-Muslimūn, Fratelli musulmani, o semplicemente الإخوان al-Iḫwān, i Fratelli) costituiscono una delle più importanti organizzazioni islamiste internazionali con un approccio di tipo politico e moderatamente democratico all'Islam. Furono fondati nel 1928 da al-Ḥasan al-Bannāʾ a Isma'iliyya (Egitto), poco più d'un decennio dopo il collasso dell'Impero Ottomano.
Sono diffusi soprattutto in Egitto (Partito Libertà e Giustizia) e a Gaza (Hamas).
Dopo la Primavera Araba avevano conquistato il governo dell'Egitto, facendo eleggere come presidente Mohammed Morsi, che però, a causa della sua volontà di limitare la laicità dello stato e di islamizzare l'Egitto (un po' come il suo amico Ergodan sta cercando di fare in Turchia), andò incontro a un forte malcontento popolare di cui approfittò il generale Al-Sisi, che con un golpe militare prese il potere, diventando l'attuale presidente e facendosi garante della laicità.
Dopo la caduta di Morsi i Fratelli Mussulmani stati dichiarati fuorilegge, in quanto considerati un'organizzazione terroristica, da parte dei governi dei seguenti paesi: Bahrein, Egitto, Russia, Siria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Tagikistan e Uzbekistan.
Concretamente si può dire che questo movimento, pur avendo un grande seguito popolare, è malvisto da quasi tutta la classe dirigente del mondo arabo e mussulmano, comprese anche le fasce della popolazione civile che sono più sensibili ai temi della laicità.
La Fratellanza Mussulmana gode invece tutt'ora di cospicui finanziamenti e protezione  dei governi di Turchia e Qatar, e trova alleanze tra i cosiddetti "ribelli moderati" siriani, in particolare nell'autoproclamato emirato di Idlib (dove però deve dividere il potere con i terroristi del Fronte Al-Nusra, affiliato ad Al-Qayda e sostenuto dai Sauditi).
Fa quindi sorridere l'accusa dell'Arabia Saudita secondo cui sarebbe il Qatar a finanziare i terroristi.
No, è evidente a tutti che Al-Qayda e l'Isis sono nate e sono cresciute con la benedizione del movimento fondamentalista islamico saudita dei Wahabiti, pilastro della monarchia di Ryadh e mandante morale del terrorismo islamico.
Per questo, se è comprensibile il fatto che il presidente egiziano Al-Sisi abbia rotto i rapporti col Qatar troppo amico del suo predecessore e oppositore Morsi, in nome della difesa della laicità dell'Egitto, è invece assolutamente ridicolo che re Salman dell'Arabia Saudita accusi l'Emiro del Qatar di sostenere il terrorismo.
Ciò che re Salman Al-Saud teme non è certo il terrorismo islamico, che non ha mai colpito in alcun modo l'Arabia Saudita e gli emirati suoi satelliti, quanto piuttosto il rischio che i Fratelli Mussulmani possano cercare di portare avanti istanze di democratizzazione all'interno dei regimi assolutistici delle petro-monarchie.
La mossa saudita di isolare diplomaticamente il Qatar è avvenuta dopo la visita di Trump, il quale ha scelto di isolare la Turchia, ormai del tutto inaffidabile come alleato e in perenne conflitto con gli Usa a partire dal tentato golpe del luglio scorso e dalla scelta (condivisibile) di Trump di appoggiare l'indipendenza del Kurdistan iracheno e l'armamento dei Curdi siriani del Rojava in funzione anti-Isis. 
L'asse tra la Turchia e il Qatar è dunque il primo grande sconfitto nel grande Risiko mediorientale, vedendo sfumato il suo sogno di controllare ciò che era l'antico Impero Ottomano tramite la presa di potere (seppur per via democratica) dei Fratelli Mussulmani in Libia, Egitto, Siria e successivamente, magari, anche in Arabia Saudita.
Sfuma così anche il progetto del gasdotto della discordia che avrebbe dovuto collegare il Qatar e la Turchia passando per il regno saudita e quello giordano. E' probabile che, date le difficoltà in Siria e il raffreddamento dei rapporti con la Turchia, i Sauditi ne abbiano in progetto un altro diverso che parta dall'Arabia e coinvolga la Giordania, Israele e l'Egitto, tagliando fuori Qatar e Turchia.
C'è però un piccolo problema, e cioè che la maggiore riserva di gas si trova proprio nelle acque territoriali del Qatar.

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Come fa notare il quotidiano israeliano Haaretz e come si legge nel sito Gli Occhi della Guerra, http://www.occhidellaguerra.it/gas-dietro-la-crisi-del-qatar/ "Doha è il più grande esportatore di gas naturale liquefatto, “quasi 80 milioni di tonnellate di produzione annua“, che vengono in gran parte acquistati dal Giappone (che è il primo importatore mondiale di questo particolare tipo di gas) e in Europa. Proprio un mese e mezzo fa, ad aprile, il Qatar ha aperto alla possibilità di sviluppare il più grande bacino di gas naturale da condividere con l’Iran. Un simile avvicinamento potrebbe aver spaventato non poco le potenze sunnite. "
Questa rivalità si è manifestata quando, durante l'incontro tra il re saudita e il presidente americano,
i Sauditi, come già avevano fatto gli Israeliani, hanno convinto Trump a parificare l'Iran all'Isis come focolaio del terrorismo islamico, sostenendo che gli Hezbollah libanesi finanziati e addestrati da Teheran, siano da considerarsi un gruppo terroristico che minaccia la sicurezza di Israele e della penisola araba.
Resta da vedere se re Salman Al-Saud, per dare una qual che credibilità alla sua improvvisa e poco credibile svolta "anti terroristica", smetterà di sostenere Al-Qayda, l'Isis e i loro rispettivi alleati, oppure, come è più probabile, rivolgerà tutta la sua forza militare contro il mondo sciita, parendo dai ribelli sciiti dello Yemen, considerati dal governo di Ryadh un'inaccettabile spina nel fianco all'interno della penisola araba.
E questo sarebbe solo il primo passo.
I passi successivi saranno quelli di sradicare la presenza sciita interna al regno degli Al-Saud e poi distruggere ogni linea di contatto e rifornimento tra gli sciiti siro-libanesi e quelli iraniani, a qualsiasi costo, contando sul sostegno militare di Israele e degli Usa.
Il sud della Siria ed il suo confine con l'Iraq (il cui governo è dichiaratamente filo-sciita e simpatizza con Damasco e Teheran) potrebbe diventare il nuovo teatro di guerra, una volta caduto l'Isis,
In questa nuova guerra, che coinvolgerebbe, sul fronte sciita, l'Iran e la Russia, c'è da chiedersi come si posizionerà il Qatar e quali rischi di invasione potrebbe correre, dati i buoni rapporti intrattenuti dall'emiro di Doha con l'Iran.
 I sauditi, con l’incoraggiamento israeliano, hanno chiesto ad americani, inglesi e giordani di tagliare il “corridoio sciita” dei rifornimenti iraniani a Damasco e Hezbollah. Questa posta in gioco vale quanto la guerra all’Isis e la spartizione della Siria.
Mentre i Saud hanno colto al volo la visita di Trump per riposizionarsi come bastione anti-terrorismo, il Qatar non aveva intuito che era finita l’epoca della sua politica “indipendente” dalle altre monarchie arabe.
Non importa se proprio il wahabismo, dottrina religiosa radicale comune sia al Qatar che all’Arabia, sia la base ideologica di numerosi movimenti radicali islamici. Quel che conta oggi è opporsi alla “Mezzaluna sciita” dell’Iran che in questi anni ha combattuto davvero contro jihadisti ed estremisti sunniti, difendendo i suoi interessi strategici in Siria e in Iraq.
Nel frattempo a pagare le conseguenze di questa situazione esplosiva sarà il resto del mondo, poiché le tensioni in atto hanno provocato una forte impennata del prezzo del petrolio e potranno poi causare problemi per i paesi che hanno rapporti commerciali e finanziari con il Qatar.
Il tutto senza contare la rabbia crescente di Erdogan, diplomaticamente isolato (anche a causa delle sue scelte politiche catastrofiche) e trasformatosi in una mina vagante, pronta a far esplodere la bomba dei migranti siriani e a creare problemi di ogni genere all'interno della Nato.


P.s.  A conferma di quanto ho scritto sopra, aggiungo l'estratto di un articolo pubblicato in data successiva presso il sito Megachip Redazione http://megachip.globalist.it/guerra-e-verita/articolo/2000246/cosa-succede-nel-golfo.html che avvalora le mie tesi riguardo alla rottura diplomatica tra Qatar e Arabia Saudita e alle sue conseguenze.


"Il Qatar è notoriamente supporter di un’altra interpretazione del salafismo, quella dei Fratelli musulmani, che ha tradizione in Egitto, presso i palestinesi di Gaza (Hamas) e in Turchia, paese che infatti ha strettissimi legami col Qatar (c’era chi sosteneva che le prime informazioni sul tentativo di colpo di stato in Turchia vennero date ad Erdoğan dai servizi qatarioti).

Ad al-Qa’ida, storicamente, gli appoggi vengono un po’ da ogni parte del Golfo, sebbene sia da quasi tutti ritenuto che in Siria, al-Nusra nello specifico, il primo manovratore delle fazioni locali fosse appunto il Qatar. Forse la guerra siriana è stata persa da questi suoi attori anche per via della competizione tra Fratellanza, qaedisti e ISIS, che nasconde la competizione per l’egemonia dell’Islam salafita tra le due petromonarchie del Golfo.

Ricorderete altresì che alla base del conflitto siriano c’era - tra l’altro - la questione della competizione tra gasdotti che peraltro pescavano dallo stesso pozzo (il più grande del mondo) che si trova sotto il Golfo, quello qatariota e quello iraniano.

Per via di questo “condominio” estrattivo i rapporti tra Qatarioti e Iraniani sono cordiali (anche se poi si fanno guerra per procura in Siria) e il fondo del Qatar ha rilevato mesi fa una quota di minoranza della Rosneft russa. Il Qatar ospita anche il comando USA dell’area, fu tra gli attivi sovvertitori di Gheddafi in Libia ed oggi parteggia per Serraj contro Haftar (appoggiato da Egiziani ed Emiratini).

Il fatto del giorno, che segue la recente kermesse di Riad con la solenne imposizione delle mani sul mondo di re Salman ed al-Sisi uniti da Trump, sembra dire una cosa ben precisa: nell’area non c’è posto per nessun altro che non si schieri dalla parte capitanata da USA- Arabia Saudita.

I Fratelli musulmani e l’eterodirezione di al-Qa’ida vanno abbandonate, quindi Hamas. Ogni intromissione sciita (Hezbollah) e lo stesso Hamas, non debbono più infastidire Tel Aviv. Deve esser stato firmato un patto d’acciaio su qualche progetto petrolifero di cui non conosciamo i termini ma che sembrerebbe voler mettere in ginocchio il Qatar, quindi dare per persa o pareggiata la faccenda in Siria ed al suo posto, voler pensare a pipeline che passino in Arabia Saudita e poi o in Giordania-Israele o Egitto-Sinai per sboccare nel Mediterraneo."

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