lunedì 30 giugno 2014

Mondo nordico e Terra di Mezzo a confronto. La questione degli elfi.



Sopra Sigfrido e Brunilde, sotto Theoden ed Eowin



Sotto: "La veglia della valchiria", di  Edward Robert Hughes, pittore preraffaellita



Gli Elfi della Terra di Mezzo



I guerrieri e le spade, protagonisti dell'epica nordica e di quella tolkieniana.



L'elfo (probabilmente dal norreno alf[a]r) è uno spirito genio della mitologia norrena e non solo. Gli elfi sono simboli delle forze dell'aria, del fuoco, della terra, dell'acqua e dei fenomeni atmosferici in generale.
Essi sono spiriti simili agli umani, alti e magri ma forti e velocissimi, volto pulito, sereno, orecchie leggermente a punta. Sono descritti con una grande vista e un udito molto sensibile. Non hanno barba, hanno capelli neri o argentei e occhi brillanti che si dice penetrino la persona fino a conoscerne i pensieri, si dice che siano dotati di telepatia.
Hanno voce splendida e chiara. Sono intelligenti ed armoniosi, con grande rispetto per i quattro elementi e per la natura.
Talvolta alcuni possono essere capricciosi e talvolta benevoli con l'uomo che li rispetta, possono donare oggetti magici a coloro che sono puri di cuore e spirito e che desiderano aiutare. Sanno forgiare spade e metalli, fino alla conoscenza della magia. In origine pare che gli elfi siano stati concepiti come anime di defunti, poi furono venerati anche come potenze che favorivano la fecondità. Di qui la distinzione, nella mitologia norrena, fra Døkkálfar, "elfi delle tenebre", e Liósálfar, "elfi della luce".
Abitano principalmente sugli alberi o in alcune foreste nascoste. Non danneggiano mai e in nessun modo la natura perché per loro è parte essenziale della loro vita ed esistenza. Nutrono una grande considerazione per la natura, concepita come una entità, un gran spirito eterico, madre di tutti gli esseri.
Essi riescono a camminare senza lasciare tracce, sono immuni alle malattie e resistono alle temperature estreme. Gli elfi hanno vita lunga invecchiando senza che la loro bellezza venga intaccata dal tempo. Si dice che siano immortali ma non invulnerabili alle ferite di spade, frecce e ai veleni, e che quindi possano essere uccisi.
Molteplici sono le leggende legate a questa figura mitologica, alcune delle quali parlano delle cattiverie che essi compiono nei confronti degli uomini e dei rapimenti dei bambini umani. Gli elfi hanno una forte gerarchia al capo della quale stanno le regine e i re delle colline delle fate, riconoscibili perché spesso ricoperti da un fresco manto di biancospini. Shakespeare nei suoi pezzi teatrali ha parlato molto spesso degli elfi, come nella commedia Sogno di una notte di mezza estate.
La parola elfo deriva dall'Inglese antico ælf o elf, a sua volta proveniente dal proto-germanico *albiz, dal linguaggio norreno álf(a)r e dall'alto tedesco medio elbe*Albiz potrebbe provenire dalla lingua protoindoeuropea nella quale *albh (da cui trae origine anche il termine latino "albus"bianco .

Mitologie scandinava, scozzese e celtica

Nei libri Fantasy la nascita degli elfi ed il loro comportamento spesso variano a seconda di ciò che decide l'autore; tuttavia gli elfi furono soggetti per primo alla mitologia nordica, la quale, creandoli, diede loro una nascita che è bene non dimenticare.
Gli Alfar (è così che in lingua scandinava si chiamano gli elfi), nacquero, secondo la leggenda ovviamente, dai vermi che divorarono il cadavere di Ymir (gigante della mitologia norrena importante per la cosmogonia e lacosmologia nordica).

Mitologia scozzese

Secondo la mitologia scozzese gli elfi si dividono non in Døkkálfar, "elfi delle tenebre", e Liósálfar, "elfi della luce", bensì in Corte Benedetta e Corte Maledetta.
La Corte benedetta è un gruppo di faeries "buoni" che sono opposti alla Corte maledetta.[2]
Secondo alcune leggende la Corte benedetta è il popolo della mitologia celtica dei Tuatha de Danann.

Tuatha de Danann

I Tuatha de Danann è un popolo di esseri divini della mitologia celtica molto simili agli Elfi (si possono praticamente considerare elfi perché come questi ultimi sono alti, affascinanti, abili nella caccia, nella poesia e nella magia). Secondo alcune leggende vennero cacciati dal Paradiso a causa della loro enorme conoscenza; secondo altre essi vennero dall'Oriente su di una barca circondata dalla nebbia.
Quando, dopo che essi conquistarono l'Irlanda, che era dei Fomoriani e venne invasa dai Milesi, si rifugiarono nelle viscere della Terra e da quel momento furono conosciuti come Daoine Sidhe. Altre versioni dicono che salparono verso il Paradiso Celtico.

Daoine Sidhe

Dopo che i Milesi guidarono i Tuatha de Danann sottoterra, essi presero questo nome (non dimentichiamo che erano comunque Elfi ma solo di un'altra mitologia!). Loro re era Finvarra che da quel giorno regna nel suo palazzo sotto la collina fatata di Knockma. Essi sono abili giocatori di scacchi e mai nessun mortale è riuscito a battere il loro re, che era un vero donnaiolo e rapiva pure donne umane.[4]

Mitologia scandinava[modifica | modifica sorgente]

Nella mitologia scandinava ci sono gli Ellefolk, esseri che per comportamento sono simili agli Elfi e sono alti circa un metro. Essi, come gli Elfi hanno un rapporto privilegiato con la natura e possono passare attraverso i quattro elementi fondamentaliariaacquafuoco e terra.
Sono grandi conoscitori delle erbe magiche e medicamentose e hanno un particolare fiuto per i tesori nascosti. Le loro donne sono di una bellezza travolgente e sono abili seduttrici. Un umano però non può avvicinarsi a loro perché basta un solo respiro degli Ellefolk per trasmettere una terribile malattia.[5]

Gli elfi nel genere fantasy

Agli inizi del XX secolo, con il nascere della letteratura fantasy, gli elfi diventano perfetti protagonisti di racconti e romanzi. Un esempio di questo fenomeno sono gli scritti di John Ronald Reuel Tolkien, autore de Il Signore degli Anelli, che descrive gli elfi come creature di bell'aspetto, con voci melodiose e cristalline, abili nella forgiatura delle spade, molto agili e immortali, riprendendo i canoni della mitologia norrena. Invecchiano molto lentamente e rimangono d'aspetto florido e vigoroso dal raggiungimento dell'età adulta in poi, ma possono essere uccisi in battaglia, essendo immortali, ma non invulnerabili. Gli elfi continuano ad apparire in molti romanzi fantasy. Terry Brooksne sceglie uno come protagonista del suo libro La spada di Shannara, descrivendolo come di struttura esile e di statura medio bassa, ma dotato di grande agilità. Alla fine del XX secolo l'immagine dell'elfo viene profondamente cambiata dai libri di J. K. Rowling, che nella saga di Harry Potter li descrive come domestici al servizio dei maghi, piccoli, esili e dotati di innati poteri magici, quindi molto lontani dalle loro precedenti descrizioni. In alcuni romanzi gli elfi vengono descritti anche come esseri simili alle fate. Nel XXI secoloChristopher Paolini, nei suoi romanzi, riprende l'immagine dell'elfo come un essere di aspetto gradevole, ma fisicamente molto più forte di un uomo e con poteri magici straordinari. Christopher Paolini descrive gli elfi anche come esseri intriganti e affascinanti, ma talvolta ambigui, anche questa una caratteristica derivante dalla mitologia, pur non dimostrando aperta ostilità verso gli uomini.
Nel Mondo Emerso di Licia Troisi gli elfi sono creature presenti solo nei ricordi delle persone. Essi sono emigrati nelle Terre Ignote e, a differenza degli elfi di Paolini e di Tolkien, sono scontrosi e rigidi. Inoltre saranno proprio loro ad attaccare le razze del Mondo Emerso per porre la loro fine e l'inizio della loro Era. Nei libri di Markus HeitzLe cinque stirpiLa guerra dei naniLa vendetta dei naniIl destino dei nani gli elfi giocano un ruolo secondario e vedono più volte la loro fine: prima per mano degli Albi (la loro controparte malvagia), ma la scomparsa definitiva degli elfi dal mondo sarà da attribuire ai nani.
Nei romanzi Fantasy di Margaret Weis e Tracy Hickman (Raistlin, l'alba del male - Raistlin, fratelli in armi etc.) gli elfi hanno fattezze simili agli elfi descritti nei romanzi di Tolkien, quindi come creature alte e di bell'aspetto e con notevoli abilità nel combattimento, tuttavia non vengono attribuiti poteri magici a queste creature. Al contrario, gli elfi che si avvicinano alle arti magiche sono definiti Elfi oscuri. In questa saga di romanzi compaiono inoltre i "Mezzelfi", creature nate dall'accoppiamento di umani ed elfi.
Nel gioco di ruolo online Vindictus gli elfi sono esseri alti, muscolosi e lenti, hanno una carnagione grigiastra e non indossano altro che uno straccio legato alla vita, trascinano una pesante clava che usano come arma.

Curiosità

All'inizio di Elfen Lied ci si riferisce ai diclonius come "elfi".

Le invasioni barbariche e la caduta dell'Impero Romano d'Occidente


Oltre i confini romani erano presenti popolazioni nomadi di etnie molto diverse fra loro, con culture e civiltà non eterogenee. A Sud, nell'Africa Settentrionale, trovano posto i Berberi e le tribù del Sudan, a nord, dalla Penisola Scandinava fino al Mar Nero, oltre il Reno e il Danubio, vivevano le popolazioni nomadi dei Germani. I Greci indicavano come barbari una serie di popoli migratori stanziati tra il Danubio, il Mar Nero e la zona nord-iranica. Essi erano di stirpe sciticaceltica e tracia, seminomadi e dediti all'allevamento (soprattutto equino e ovino) ed alla raccolta di frutti spontanei. I Greci li dividevano in due etnie fondamentali (in realtà piuttosto omogenee): i Geti e iDaci.
Gli Sciti invece erano dei nomadi provenienti dal Nord dell'Iran, abili arcieri a cavallo, dediti a cerimonie sciamaniche che prevedevano stati di estasi prodotta forse da sostanze allucinogene (probabilmente l'hashish), che nei Greci destavano stupore e timore. Essi erano suddivisi in tribù guerriere che avevano in comune la lingua, la religione, le armi, le tecniche di allevamento dei cavalli da guerra e quelle di fonditori di metalli e orefici. Ritrovamenti di tumuli con ricchi corredi in oro e metallo sono avvenuti dalla Siberia al Caucaso, dai confini con l'Impero Cinese all'Iran. Le loro continue migrazioni furono il motore di tutte le migrazione dell'Eurasia centrale per tutto il primo millennio a.C., e non mancarono di preoccupare grandi imperi come quello cinese.
Analoghi per alcuni versi agli Sciti erano i Sarmati, nomadi e cavalieri di origine nordiranica, che apparvero sulla scena del confine Europa/Asia verso il I-II secolo d.C. sospinti probabilmente da altre popolazioni asiatiche. Erano probabilmente Sarmati gli Iazigi che si scontrarono con le truppe di Adriano nel I secolo d.C., mentre i Roxolani erano Sarmati stanziati tra i Don e il Dnepr. Sarmati erano anche gli Alani, originari della zona adiacente al lago d'Aral, che cercarono di insediarsi in Cappadocia nel I secolo d.C. I Romani sottolineano nei loro trattati militari la forza di questi guerrieri, grazie all'uso dei cavalli ed alla pesante armatura in ferrobronzocorno e cuoio. Queste tecniche, assimilate poi in Occidente, dovevano essere nate per proteggersi dalle frecce delle altre tribù nomadi delle steppe. Una volta arrivati nel luogo degli scontri tra Persiani e Romani portò, soprattutto i primi, a ingaggiarli nei rispettivi eserciti.
Questi gruppi avevano già avuto contatti con la società romana, che aveva concesso ad alcuni gruppi di stanziarsi entro i confini come coloni, integrandoli all'interno dell'esercito, come truppe di difesa dei confini. Il fenomeno, iniziato alla fine del II secolo si ampliò dopo la crisi del III secolo.
Il progressivo disfacimento dell'impero romano, l'incremento della corruzione e la scarsità di mezzi per controllare e fortificare i confini, portarono al verificarsi di molte invasioni, che arrivarono anche fino alla Pianura Padana. I Romani tentarono di aumentare le difese delle città più interne, spesso creando nuove cinte murarie o fortificando quelle già esistenti e formarono delle unità mobili dell'esercito, così facendo però persero lentamente il controllo dei confini. La pressione degli Unni da Nord-Est obbligò le popolazioni barbariche stanziate lungo i confini a spingersi ulteriormente all'interno del territorio romano.

Invasione o migrazione?

Può suscitare curiosità il modo con il quale le invasioni barbariche vengono chiamate dai vari popoli europei: i popoli di lingua neolatina come i Francesi o gli Spagnoli usano il termine "invasione" (les grands invasions o les invasions barbareslas invasiones (de los bárbaros)). Al contrario, i popoli germanici o slavi usano il termine "migrazione" (Völkerwanderung in tedesco, Migration period in inglese o Stěhování národů in ceco).

Gli Unni

Verso la metà del IV secolo la pressione delle tribù germaniche sui confini del Danubio e del Reno era diventata molto forte, incalzata dagli Unni provenienti dalla steppa, probabilmente la stessa popolazione degli Hsiung-Nu che nel corso del I secolo avevano insidiato l'Impero Cinese presso la Grande Muraglia.
Il contributo degli Unni nelle invasioni barbariche si può dividere in tre fasi:
  1. gli Unni, migrando verso la pianura ungherese, spingono numerose popolazioni barbariche a invadere l'Impero (376-408).
  2. gli Unni, una volta terminata la migrazione, aiutano l'Impero a combattere i gruppi barbari entrati all'interno dell'Impero (410-439).
  3. gli Unni, sotto Attila, diventano nemici dell'Impero, e invadono dapprima l'Impero d'Oriente e poi quello d'Occidente (440-452).
L'avanzata degli Unni spinse i Visigoti a chiedere all'Imperatore d'Oriente Valente di essere accolti in territorio romano, e Valente accettò. Il maltrattamento subito dai Goti ad opera degli ufficiali romani spinse tuttavia i Goti a rivoltarsi, e nel 378 i Visigoti sconfissero l'Imperatore d'Oriente Valente nella battaglia di Adrianopoli, uccidendolo. In seguito alla morte di Valente, Graziano e Teodosio I si divisero l'impero e quest'ultimo accettò i Visigoti, minacciosi su Costantinopoli, come foederati (382). I foederati mantenevano una certa autonomia dall'Impero, non pagando tasse all'Impero, e, in cambio di un compenso - in denaro o tramite concessione di terre (hospitalitas) -, avrebbero servito l'Impero contro gli altri barbari. Tale sistema costituiva in realtà un'arma a doppio taglio in quanto non faceva altro che sostituire l'"invasione violenta" con quella "pacifica", e avrebbe potuto portare i barbari a distruggere dall'interno l'Impero. Nel frattempo a Costantinopoli si verificò una reazione antigermanica che portò alla rovina del goto Gainas (magister militum praesentalis) e all'espulsione dei Germani dall'esercito romano-orientale: i Germani furono in seguito riammessi nell'esercito d'Oriente, ma non più come foederati autonomi condotti dai propri capi tribali bensì come mercenari condotti da generali imperiali. I Visigoti furono quindi spinti dal cambiamento della situazione in Oriente verso l'Impero d'Occidente. I Visigoti, dopo mille battaglie con gli eserciti d'Oriente e d'Occidente, dopo aver devastato i Balcani, l'Italia e la Gallia, ottennero il possesso, come foederatidell'Impero, della Gallia Aquitania nel 418.
Secondo la tesi di Heather, anche le invasioni del 405-408 sarebbero state provocate indirettamente dagli Unni: infatti sia i Goti di Radagaiso, che i Vandali, gli Alani e i Suebi provenivano dall'area a ovest dei Carpazi, proprio dove si sarebbero stanziati gli Unni intorno al 410. È possibile, quindi, che sia stata la migrazione degli Unni dall'area a nord del Mar Nero alla grande pianura ungherese a provocare la seconda ondata di invasioni.
Dopo aver provocato indirettamente le crisi del 376-382 e del 405-408, gli Unni, ormai stanziati stabilmente in Ungheria, oltre ad arrestare il flusso migratorio ai danni dell'Impero, in quanto, volendo dei sudditi da sfruttare, impedirono ogni migrazione da parte delle popolazioni sottomesse, aiutarono l'Impero d'Occidente a combattere i gruppi invasori: nel 410 alcuni mercenari unni furono inviati ad Onorio per sostenerlo contro Alarico, mentre Ezio dal 436 al 439 impiegò mercenari unni per sconfiggere in Gallia BurgundiBagaudi e Visigoti; poiché però nessuna delle minacce esterne fu annientata definitivamente nemmeno con il sostegno degli Unni, questo aiuto compensò solo minimamente gli effetti nefasti provocati dalle invasioni del 376-382 e del 405-408
Sotto Attila, poi, gli Unni divennero una grande minaccia per l'Impero, distogliendolo dalla lotta contro gli invasori penetrati all'interno dell'Impero nel 376-382 e nel 405-408, che in questo modo ne approfittarono per espandere ulteriormente la propria influenza.Per esempio, le campagne balcaniche di Attila impedirono all'Impero d'Oriente di aiutare l'Impero d'Occidente in Africa contro i Vandali, e la flotta romano-orientale di 1100 navi che era stata inviata in Sicilia per riconquistare Cartagine fu richiamata precipitosamente perché Attila minacciava di conquistare persino Costantinopoli (442). Anche la Britannia, abbandonata definitivamente dai Romani attorno al 407-409, fu invasa, attorno alla metà del secolo da genti germaniche (SassoniAngli e Juti) che dettero vita a molte piccole entità territoriali autonome (SussexAnglia orientaleKentecc.), spesso in lotta fra di loro. Il generale Ezio nel 446 ricevette un disperato appello dai romano-britanni contro i nuovi invasori; Ezio, non potendo distogliere forze dalla frontiera confinante con l'Impero unno, declinò la richiesta. Ezio dovette rinunciare anche a inviare forze consistenti in Spagna contro gli Svevi, che, sotto re Rechila, avevano sottomesso quasi interamente la Spagna romana, ad eccezione della Tarraconense.
L'Impero romano d'Occidente dovette così rinunciare al gettito fiscale della Spagna e soprattutto dell'Africa, con conseguenti minori risorse a disposizione per mantenere un esercito efficiente da utilizzare contro i Barbari. Man mano che le entrate fiscali diminuivano a causa delle invasioni, l'esercito romano si indeboliva sempre di più, agevolando un ulteriore espansione a scapito dei Romani da parte degli invasori. Nel 452 l'Impero d'Occidente aveva perso la Britannia, una parte della Gallia sud-occidentale ceduta ai Visigoti (foederati dell'Impero) e una parte della Gallia sud-orientale ceduta ai Burgundi (foederati dell'Impero), quasi tutta la Spagna passata agli Svevi e le più prospere province dell'Africa, occupate dai Vandali; le province residue erano o infestate dai ribelli separatisti bagaudi o devastate dalle guerre del decennio precedente (ad esempio le campagne di Attila in Gallia e in Italia) e dunque non potevano più fornire un gettito fiscale paragonabile a quello precedente alle invasioni. Si può concludere che gli Unni contribuirono alla caduta dell'Impero romano d'Occidente, non tanto direttamente (con le campagne di Attila), quanto indirettamente, giacché, causando la migrazione di Vandali, Visigoti, Burgundi e altre popolazioni all'interno dell'Impero, avevano danneggiato l'Impero romano d'Occidente molto più delle stesse campagne militari di Attila.

Comportamento romano

Secondo Guy Halsall, invece, non furono gli Unni a provocare la migrazione dei Visigoti in territorio romano nel 376, ma la colpa è da attribuire all'Imperatore Valente, le cui campagne del 369 avrebbero provocato la destabilizzazione della società gota, spingendo quest'ultimi a spingersi in territorio romano; lo stanziamento degli Unni nelle terre un tempo dei Visigoti, per Halsall, fu la conseguenza, e non la causa, della migrazione di quest'ultimi. Halsall porta come prova della sua tesi un passo della Storia Ecclesiastica di Socrate Scolastico, il quale sostiene che la rottura dei rapporti tra Fritigerno e Atanarico sarebbe avvenuta in seguito all'attacco del 369 e non nel 376, in seguito all'attacco degli Unni, come sostiene invece Ammiano.
Peter Heather non concorda con Halsall obiettando alla sua teoria che, mentre Ammiano è contemporaneo ai fatti e molto dettagliato e accurato, Socrate Scolastico era vissuto un secolo dopo i fatti ed è molto sintetico e meno accurato di Ammiano per i fatti non riguardanti la storia ecclesiastica, l'argomento principale della sua opera. Per Heather, se Ammiano e Socrate Scolastico danno una versione discordante di un avvenimento, è da ritenersi più attendibile Ammiano.
Per Halsall, anche le invasioni del 405-408 sarebbero dovute al comportamento romano, che sguarnendo il Reno di truppe, avrebbero fatto un "invito implicito" ai Barbari di migrare in territorio romano; inoltre Halsall sostiene che l'interruzione di afflusso di monete nel nord della Gallia suggerisce l'interruzione di sussidi versati ai clienti dell'Impero, che, per riappropriarsi delle ricchezze che non ricevevano più dall'Impero, avrebbero deciso di invaderlo.
Heather ha obiettato a questa teoria facendo notare che, a parte che non ci sono prove certe che i sussidi diplomatici si siano interrotti, gli invasori del Reno (Vandali, Alani, Svevi) non ricevevano sussidi dall'Impero, essendo stanziati lontani dal limes del Reno, dunque non può essere stata l'interruzione di sussidi diplomatici a spingerli a invadere l'Impero; inoltre l'attacco di Radagaiso colpì l'Italia, che era appunto l'area dove vi erano più truppe. Per Heather, anche se i disaccordi tra Impero d'Occidente e Impero d'Oriente e lo sguarnimento del Reno facilitarono gli invasori, la vera causa delle invasioni sarebbe stato la migrazione degli Unni. La teoria di Halsall è comunque valida in talune circostanze, per esempio nel caso della Britannia, dove il ritiro dei Romani, lasciando la Britannia senza difese, agevolò senza dubbio la conquista anglosassone.
Non va dimenticato che nelle stesse file dell'esercito romano militavano ormai molti barbari come mercenari: l'ereditarietà del ruolo di soldato rendeva sempre più difficile trovare persone adatte ad indossare le nuove pesanti armature che, adottate dai Parti, erano diventate necessarie anche per i Romani, senza contare la nuova cavalleria corazzata, sempre di origine partica, che comportava cavalli e cavalieri giganteschi.
I legionari romani, invece, erano sempre più dei commercianti, attratti dai privilegi di ogni genere che continuavano a piovere su di loro, per essere i veri arbitri dell'elezione imperiale. A questo si fece fronte, all'inizio con arruolamenti di Germani (legalmente liberi di arruolarsi come ausiliares, a differenza dei cittadini Romani) e poi con la stipula di contratti con gruppi di guerrieri con relative famiglie, che ricevevano terre sottratte ai cittadini oltre a somme di denaro annuali per il loro servizio.

I Visigoti

Visigoti, popolo di origine nordica, stanziato sulla riva destra del fiume Djnestr, furono costretti dall'avanzata travolgente degli Unni a ripiegare oltre il confine danubiano (376). Guidati dal loro re Fritigerno, chiesero all'Impero d'Oriente di essere ospitati all'interno dei confini e l'Imperatore Valente accettò, secondo le fonti primarie perché intendeva usare i Visigoti come soldati mercenari, ma secondo alcune teorie perché, essendo impegnato sul fronte orientale contro la Persia, non aveva forze per respingerli. I duecentomila Visigoti furono stanziati in Mesia e in Tracia, ma i maltrattamenti subiti dagli ufficiali romani, la fame e gli stenti li spinsero alla rivolta.
Dopo alcuni piccoli successi ottenuti dai generali di Valente,poco tempo dopo mosse contro le orde barbariche lo stesso imperatore Valente, il quale nella successivabattaglia di Adrianopoli, subì non solo una disastrosa sconfitta, ma cadde egli stesso sul campo di battaglia. I Visigoti rimasero in Mesia, compiendo ripetute razzie nelle regioni circostanti. La battaglia di Adrianopoli (378) in primis portò all'elaborazione, da parte di Roma, di una nuova strategia di contenimento nei confronti dei barbari: Teodosio, infatti, chiamato alla guida dell'Impero d'Oriente da Graziano dopo la morte di Valente, ed i suoi successori, incapaci di fermare le invasioni militarmente, cominciarono ad adottare una politica basata sui sistemi della hospitalitas e della foederatioTeodosio I (379-395) nel 382 accettò di concludere con i Goti un foedus, che stabiliva che si insediassero all'interno dei confini imperiali tra Danubio e Balcani come Foederati (alleati) di Roma. I Tervingi si sarebbero stanziati in Tracia, i Grutungi in Pannonia. I foederati mantenevano una certa autonomia dall'Impero, non pagando tasse all'Impero, e, in cambio di un compenso - in denaro o tramite concessione di terre (hospitalitas) -, avrebbero servito l'Impero contro gli altri barbari. Tale sistema costituiva in realtà un'arma a doppio taglio in quanto non faceva altro che sostituire l'"invasione violenta" con quella "pacifica", e avrebbe potuto portare i barbari a distruggere dall'interno l'Impero. Teodosio usò i foederati goti nelle campagne contro gli usurpatori gallici e li difese dalle rivendicazioni dei privati cittadini che si vedevano togliere le terre (come con il massacro a Tessalonica di settemila civili in rappresaglia per le rivolte contro i Goti).

Con la morte di Teodosio I e la divisione definitiva dell'impero romano tra Occidente ed Oriente tra i due suoi figli Onorio e Arcadio, il generale visigoto Alarico si rivoltò all'impero, penetrò in Tracia e la devastò, arrivando ad accamparsi sotto le mura di Costantinopoli. Il generale Stilicone si diresse contro Alarico, ma Arcadio, spinto dal prefetto del pretorio Flavio Rufino, nemico di Stilicone, ordinò alle truppe orientali, che formavano una parte dell'armata di Stilicone, di far ritorno in Oriente. In Oriente infatti si aveva ancora timore che in realtà Stilicone mirasse a conquistare il dominio anche di Costantinopoli tornando ad unire ancora una volta l'impero sotto un'unica guida. Nel 396 Arcadio nominò Alarico magister militum per l'Illirico, mentre Stilicone fu dichiarato nemico pubblico dell'Oriente. Nel frattempo a Costantinopoli si verificò una reazione antigermanica che portò alla rovina del goto Gainas (magister militum praesentalis) e all'espulsione dei Germani dall'esercito romano-orientale: i Germani furono in seguito riammessi nell'esercito d'Oriente, ma non più come foederati autonomi condotti dai propri capi tribali bensì come mercenari condotti da generali imperiali. I Visigoti, compreso che a causa del cambiamento della situazione non erano più ben accetti in Oriente, puntarono verso l'Italia nel tentativo di negoziare con Onorio lo stanziamento come foederati in un territorio qualsiasi dell'Impero d'Occidente (Alarico nel 408/409, durante le trattative con Onorio, propose il Norico). Mossi dal loro re Alarico, giunsero in Italia ma vennero sconfitti da Stilicone a Pollenzo (402), a Verona (403), anche se nel frattempo Stilicone cercò una mediazione tra le due parti.

Raffigurazione del Sacco di Romacondotto dai Visigoti di Alarico nel410.
Nel frattempo, l'ulteriore avanzata degli Unni verso l'Occidente portò numerose popolazioni che si trovavano lungo il medio corso del Danubio a invadere l'Impero: mentre i Goti di Radagaiso invasero l'Italia e furono annientati da Stilicone a Fiesole (405), Vandali, Alani e Svevi, invasero le Gallie varcando il Reno (31 dicembre 406) approfittando della scarsa sorveglianza dei confini resa necessaria dalle campagne di Stilicone contro i Visigoti e contro Radagaiso. Nel frattempo in Britannia scoppiò una rivolta dell'esercito, che elesse usurpatore Costantino III: questi spostò le legioni romane a difesa della Britannia in Gallia per strapparla a Onorio e per combattere gli invasori del Reno. A causa dei fallimenti di Stilicone nell'affrontare l'invasione del Reno e gli usurpatori nelle Gallie e dei tentativi di negoziazione con Alarico, Stilicone fu sospettato di aver tradito l'Impero favorendo i barbari e fu condannato alla decapitazione per ordine di Onorio (408). Onorio però non era in grado di resistere ai Visigoti, capeggiati da Alarico, che il 24 agosto del 410 saccheggiarono Roma.
Alarico morì mentre cercava di raggiungere l'Africa marciando in Italia Meridionale. Il suo successore, Ataulfo, condusse il popolo visigoto in Gallia. L'intenzione di Ataulfo era di ottenere un ruolo politico di primo piano nell'Impero e per questo motivo sposò Galla Placidia con l'intenzione di avere un figlio da lei e da imparentarsi con la famiglia imperiale. Tuttavia né Onorio néCostanzo, il generale romano incaricato di combattere Ataulfo, accettarono le pretese di Ataulfo, volendo sì indietro Galla Placidia ma non alla condizione di concedere al suo marito goto un ruolo preminente a corte. Sfruttando un punto debole dei Goti, ovvero la loro difficoltà di procurarsi i rifornimenti, Costanzo bloccò loro tutte le vie di comunicazione: il blocco imposto da Costanzo ai porti gallici fu tanto efficace che i Visigoti abbandonarono la Gallia e la città di Narbona per l'Hispania, nel 415. Morti Ataulfo e il suo successore Sigerico, nello stesso anno Costanzo stipulò un trattato col nuovo re visigoto Vallia: in cambio di 600000 misure di grano e del territorio della regione d'Aquitania, dai Pirenei alla Garonna, i Visigoti, in qualità di alleati ufficiali ovvero stato vassallo dell'impero (foederati), si impegnavano a combattere in nome dei Romani i Vandali, gli Alani e i Suebi, che nel 406 avevano attraversato il fiume Reno e si erano dislocati nella provincia d'Hispania. L'accordo prevedeva anche la liberazione di Galla Placidia.
foederati (alleati dell'Impero) nella Valle della Garonna, in Aquitania, dove ottennero, con il sistema dell'hospitalitas, terre da coltivare. L'Aquitania sembra sia stata scelta da Costanzo come terra dove far insediare i Visigoti per la sua posizione strategica: infatti era vicina sia dalla Spagna, dove rimanevano da annientare i Vandali Asdingi e gli Svevi, sia dal Nord della Gallia, dove forse Costanzo intendeva impiegare i Visigoti per combattere i ribelli separatisti Bagaudi nell'Armorica. Da allora in poi i rapporti dei Visigoti con l'Impero furono ambigui: se in taluni casi accettarono di assisterlo nelle campagne militari contro altri barbari (per esempio contro i Vandali, gli Svevi e Attila), altre volte seguirono una politica ostile ad esso, aggredendo i territori limitrofi imperiali nel tentativo di espandere la propria sfera di influenza. Fu solo con l'ascesa al trono di Eurico (466), comunque, che i Visigoti riuscirono a conquistare tutta la Gallia imperiale a sud della Loira, oltre a quasi tutta la Spagna, e a ottenere ufficialmente l'indipendenza da esso (475).
I Visigoti avevano aperto la strada ad altre popolazioni che durante il V secolo oltrepassarono il limes reno-danubiano in più punti. Queste popolazioni germaniche possono essere distinte in occidentali e orientali. Esse non avevano come obiettivo la destabilizzazione e la guerra all'Impero romano, cercavano solo aree nelle quali insediarsi, finendo inevitabilmente a sud oltre il confine.

Gli invasori del Reno: Vandali, Alani, Svevi


Il 31 dicembre 406 Vandali (suddivisi in Asdingi e Silingi), Alani e Suebi invasero la Gallia varcando il fiume Reno. È possibile che questa invasione fosse stata scatenata dalla migrazione degli Unni nella grande pianura ungherese, avvenuta tra il 400 e il 410; infatti Vandali, Alani e Svevi vivevano proprio nella zona dove si sarebbero insediati gli Unni, e la minaccia unna potrebbe averli spinti a invadere la Gallia. A causa dello sguarnimento del limes del Reno, resosi necessario a causa dei pericoli che correva l'Italia a causa di Alarico e Radagaiso, gli invasori non trovarono opposizione devastando per due anni l'intera Gallia, per poi passare indisturbati in Spagna all'inizio del 408. Nel 411, occupata la Spagna, se la spartirono tra loro come segue:
« [I barbari] si spartirono tra loro i vari lotti delle province per insediarvisi: i Vandali [Hasding] si impadronirono della Galizia, gli Svevi di quella parte della Galizia situata lungo la costa occidentale dell'Oceano. Gli Alani ebbero la Lusitania e la Cartaginense, mentre i Vandali Siling si presero la Betica. Gli spagnoli delle città e delle roccaforti che erano sopravvissuti al disastro si arresero in schiavitù ai barbari che spadroneggiavano in tutte le province. »
(Idazio, Cronaca.)


Tra il 416 e il 418 gli invasori del Reno subirono, però, la controffensiva dei Visigoti di Vallia per conto dell'Imperatore d'Occidente: vennero annientati nella Betica i Vandali Silingi mentre gli Alani subirono perdite così consistenti da giungere a implorare la protezione dei rivali Vandali Asdingi, stanziati in Galizia. Grazie a questi successi, le province ispaniche della Lusitania, della Cartaginense e della Betica tornarono sotto il controllo romano, ma il problema ispanico non si era tuttavia ancora risolto, anche perché dopo la sconfitta, Vandali Siling e Alani si coalizzarono con i Vandali Hasding, il cui re, Gunderico, divenne re dei Vandali e Alani. La nuova coalizione vandalo-alana tentò subito di espandersi in Galizia a danni degli Svevi, costringendo i Romani a intervenire nel 420: l'attacco romano non portò però all'annientamento dei Vandali, ma li spinse piuttosto in Betica, che da essi prese in nome di "Vandalucia" (Andalusia). 



Nel 422 sconfissero proprio in Betica la coalizione romano-visigota, condotta dal generale Castino, forse grazie a un presunto tradimento dei Visigoti.
Lotte politiche a Ravenna distrassero parzialmente il governo centrale dalla lotta contro i Barbari, e di ciò approfittarono i Vandali rafforzati dall'unione con gli Alani. Tra il 425 e il 428 la Spagna meridionale e le Isole Baleari furono oggetto dei saccheggi dei Vandali. La necessità di trovare un insediamento più sicuro dagli attacchi dei Visigoti alleati dei Romani (e forse un presunto tradimento del comes Africae Bonifacio, che secondo fonti del VI secolo avrebbe invitato i Vandali in Africa) spinse i Vandali e gli Alani a migrare ulteriormente nel Nord Africa tra il 429 e il 430. Nel 429 i Vandali, condotti dal nuovo re Genserico, sbarcarono a Tangeri in Mauritania Tingitana e da lì marciarono verso est in direzione di Cartagine, sconfiggendo le forze romane condotte da Bonifacio e minacciando ormai da vicino la Proconsolare e la Byzacena, le province più prospere dell'Impero romano d'Occidente, dalle quali lo stato ricavava la maggior parte dei proventi. Sant'Agostino morì ottantaseienne mentre i Vandali cingevano d'assedio Ippona, la sua città (presso l'odierna Annaba in Algeria). L'Imperatore d'Oriente Teodosio II inviò tuttavia il generale Aspar in Africa per contenere l'avanzata vandala; la mossa costrinse i Vandali a negoziare: nel 435, con gli accordi di Trigezio, i Vandali ottennero dall'Impero la Mauritania e parte della Numidia, mentre le province più prospere dell'Africa romana erano per il momento salve.

Nel 439, però, Genserico, approfittando delle poche truppe poste a difesa di Cartagine, invase le province di Byzacena e Proconsolare, occupando Cartagine (439).L'invio di una potente flotta nelle acque della Sicilia da parte dell'Imperatore Teodosio II nel tentativo di recuperare Cartagine fu vanificato dall'invasione dei Balcani da parte degli Unni di Attila, che costrinse Teodosio II a richiamare la flotta nei Balcani, non lasciando all'Impero occidentale alcun altra scelta che negoziare una pace sfavorevole con Genserico. Il trattato di pace del 442 tra l'Impero e i Vandali prevedeva l'assegnazione ai Vandali di Byzacena, Proconsolare e parte della Numidia, in cambio della restituzione ai Romani delle Mauritanie e del resto della Numidia, province però danneggiate da anni di occupazione vandala e che quindi non potevano più fornire un grande gettito fiscale. La perdita di province così prospere (e del loro gettito fiscale) fu un duro colpo per le finanze dell'Impero romano d'Occidente, che trovatosi per questo motivo in serie difficoltà economiche, fu costretto a ridurre gli effettivi dell'esercito essendo il bilancio insufficiente per mantenerlo.
L'occasione per riprendere l'offensiva contro l'Impero per i Vandali giunse nel 455, allorché il nuovo imperatore Petronio Massimo decise di far maritare la principessa Eudossia, figlia di Valentiniano III, con suo figlio Palladio per legittimare la sua ascesa al trono, facendo però infuriare Genserico, il cui figlio Unerico era fidanzato con la stessa Eudossia in base al trattato del 442. I Vandali decisero di reagire con la forza: una flotta vandala sbarcò poco distante da Roma, che, dopo un breve assedio, fu espugnata e saccheggiata. Tra i prigionieri più illustri catturati dai Vandali in quella spedizione spiccarono la vedova e le figlie di Valentiniano oltre al figlio di Ezio. Più o meno nello stesso periodo, grazie alla loro discreta capacità nell'organizzazione delle flotte, i pirati vandali compirono numerose incursioni a fini di saccheggio nel Mediterraneo occidentale e in Italia, conquistando i residui possedimenti romano-occidentali in Africa e la Sicilia, oltre a SardegnaCorsica e Baleari.

Gli Svevi



La partenza dei Vandali per l'Africa aveva lasciato la Spagna libera dai Barbari, fatta eccezione per gli Svevi in Galizia. La scarsa attenzione riservata dal governo centrale alla Spagna, dovuta alle altre diverse minacce esterne sugli altri fronti (Gallia, Africa, Illirico), permise, tuttavia, agli Svevi, sotto la guida del loro re Rechila, di espandersi su gran parte della penisola iberica: tra il 439 e il 441, essi occuparono Merida (capoluogo della Lusitania), Siviglia (441) e le province della Betica e della Cartaginense. L'unica provincia ispanica ancora rimasta sotto il controllo di Roma era la Tarraconense, che tuttavia era infestata dai separatisti Bagaudi. Furono vane le campagne successive di riconquista condotte da Ezio: se le prime due, condotte dai comandanti Asturio (442) e Merobaude (443), avevano come fine il recuperare perlomeno la Tarraconense ai Bagaudi, quella di Vito (446), più ambiziosa, tentò di recuperare la Betica e la Cartaginense, finite in mano sveva, ma, nonostante il sostegno dei Visigoti, l'esercito romano fu annientato dal nemico. Questo fallimento era attribuibile almeno in parte al fatto che Ezio non poteva concentrare tutte le sue forze nella lotta contro gli Svevi vista la minaccia unna.[29] Il regno svevo declinò poi a causa dell'ascesa dei Visigoti in Spagna, che ridussero gli Svevi al possesso della sola Galizia.

Non tutti gli Svevi erano giunti nella Spagna occidentale con i Vandali. Alcuni, con Alamanni, Marcomanni e Senoni, si insediarono nella regione attorno ad Augusta, che da essi prese il nome di Svevia.

I Franchi



Franchi erano un gruppo etnico che comprendeva una lega di tribù di varie etnie (SicambriBructeriCattiCherusciSaliiCamavi...) che, considerate singolarmente erano note ai Romani almeno dal I secolo, mentre come "Franchi" (termine che deriverebbe dalla radice tedesca "frank/frei" col significato di liberi, quindi riferibile alla federazione più che a un epiteto etnico tradizionale) si hanno notizie sul loro conto dalla metà del III secolo, anche se non appare improbabile che le prime federazioni risalissero a un periodo a cavallo tra II e III secolo. Essi, essendo privi di radici comuni, non elaborarono una memoria comunitaria sulle proprie origini (come i Goti o i Longobardi), ma tramandarono semmai un mito riguardo alla casa regnante, col mitico Meroveo. Dopo essersi distinti in numerose scorrerie, soprattutto tra il 274 e il 275, furono fatti stanziare come prigionieri nelle aree spopolate dell'Impero da Diocleziano, quali contadini e all'occorrenza soldati (notevoli erano le capacità militari di questo popolo), soprattutto nell'area della Gallia settentrionale. Già nel IV secolo si conoscono Franchi che fecero carriera nell'esercito romano arrivando anche a cariche di rilievo.

Nel V secolo i Franchi si erano stabilizzati nella Gallia centrale come foederati, incaricati di difendere la frontiera del Reno contro AlaniSuebi e Vandali. Probabilmente non tutte le tribù seguivano univocamente le decisioni generali, per cui nel 440 circa l'esercito imperiale si scontrò, vincendo, contro alcuni Franchi presso Vicus Helena (vicino l'odierna Arras), che ebbe come conseguenza la formazione di un'enclave franca attorno a Tournai, mentre altri piccoli regni si andavano creando attorno a Treviri. Alcuni Franchi parteciparono come alleati dei Romani contro Attila nella battaglia dei Campi Catalunici del 451.

Con il disfacimento dell'Impero d'Occidente i Franchi si stanziarono con maggiore libertà oltre il Reno, creando due regni principali: i Franchi dell'Ovest, i Salii, nella valle della Schelda tra CambraiArrasTournous e Tognres, e i Franchi dell'Est, i Ripuari, da "ripa" (del Reno), nella Mosella, presso TreviriMagonzaColonia e Metz.
Salii di re Clodoveo batterono Siagrio, semiribelle all'Impero, nel 486 presso Soissons, che, fuggito, venne riconsegnato ai Franchi dai Visigoti di Alarico II della Gallia del Sud quindi giustiziato. In quel caso i Franchi, una delle popolazioni germaniche meno latinizzate, si fecero paradossalmente fautori della legalità imperiale, rendendo anche sudditanza formale a Zenone di Costantinopoli

I Burgundi



Burgundi nella prima metà del V secolo (411 ca.) si erano stabiliti con lo status di foederati tra Meno e Reno. Nel 411, insieme agli Alani, appoggiarono l'usurpazione diGiovino.[31] Il loro regno di Gundahar venne distrutto verso il 436 dagli Unni, allora arruolati da Ezio, ed una traccia dell'avvenimento si trova probabilmente nel Nibelungenlied, celebre saga del XII secolo che metteva per iscritto una lunga tradizione orale, dove re Gunther e la sua stirpe sono eliminati da Attila, re degli unni, come vendetta per aver fatto uccidere l'eroe Sigfrido.

Ezio permise poi (nel 443) ai Burgundi di stanziarsi tra la Saona e il Rodano, in quella che da essi prenderà il nome di Borgogna, per difendere i passi alpini. La politica di Ezio sembra essere stata, in questo frangente, di un «ritiro alla linea che va dalla ... Loira alle... Alpi, con gruppi federati [Alani e Burgundi] insediati lungo quella frontiera per difenderla».[32] I foederati Burgundi aiutarono successivamente, nel 451, Ezio a sconfiggere Attila ai Campi Catalauni, costringendo l'Unno a ritirarsi dalla Gallia. Alla notizia della detronizzazione dell'Imperatore Avito, nel 457 i Burgundi si rivoltarono e si impadronirono di Lione, non riconoscendo come imperatore Maggioriano. La rivolta venne poi sedata da Maggioriano e dal suo generale Egidio l'anno successivo. Successivamente, nel 462, per sedare la rivolta di Egidio, che non aveva riconosciuto il nuovo Imperatore Severo secessionando dall'Impero, Ricimero dovette fare concessioni territoriali importanti a Visigoti e Burgundi per ottenere il loro supporto: ai Visigoti cedette Narbona, mentre per quanto riguarda i Burgundi nominò il loro re, Gundiocomagister militum per Gallias e gli diede in sposa sua sorella, oltre a permettergli di estendere il regno burgundo su Lione e la valle del Rodano. Il loro regno resse fino al 532 quando vennero travolti dai Franchi.

I Turingi

Turingi dovevano essere un'etnia simile a Burgundi e Svevi. Entrarono in scena più o meno contemporaneamente alle altre popolazioni germaniche, giungendo al seguito di Attila e formando tra V e VI secolo un regno tra Meno e Elba, che venne assorbito dai Franchi verso il 530.

I barbari in Britannia: Pitti, Scoti, Caledoni, Frisoni, Juti, Angli e Sassoni


La Britannia nel V secolo al tempo delle invasioni di Angli e Sassoni.
La necessità di difendere la Gallia dai barbari provenienti dalla regione renaica richiese lo spostamento di truppe militari dalla Britannia. Quest'ultima si era difesa dai PittiCaledoni e Scotigrazie anche al poderoso Vallo di Adriano, ma a seguito della decisione dell'usurpatore Costantino III di privilegiare la regione della Gallia, fu abbandonata a sé stessa, con il risultato che i Romano-britanni si rivoltarono a Costantino III nel 409, «espellendo i magistrati romani e stabilendo la forma di governo che più gli aggradava»;[35] poco tempo dopo, nel 410, Onorio inviò una lettera alle città britanniche comunicando loro di provvedere autonomamente alle loro difese.
Con la partenza dei presìdi romani, la struttura politica dell'isola si spezzettò in regni formati da gruppi di Britanni spesso in lotta tra loro o in difesa da invasioni da Nord. Dal quinto secolo i re e capi locali cominciarono ad ingaggiare milizie germaniche provenienti dal continente, come i Sassoni, gli Angli ed i Frisoni, ai quali si aggiunsero gli Juti dello Jutland (attualeDanimarca), che varcarono il canale della Manica:
« [I Romano-britanni] sedettero in consiglio per decidere quale fosse il modo più spedito ed efficace per evitare il ripetersi di tanto brutali invasioni e razzie... Ed ecco che tutti i membri del consiglio, insieme al fiero tiranno, furono accecati; i guardiani ... che scelsero per difendere la nostra terra erano ... i feroci sassoni... E una nidiata di cuccioli sbucò dalla tana della barbara leonessa e si fece avanti con tre keels, come nella loro lingua chiamano le navi da guerra... Agli ordini del tiranno, subito conficcarono i loro orridi artigli sulla porzione orientale dell'isola, apparentemente battendosi per la nostra terra, in realtà per combattere contro di essa. Venuta a sapere delle fortune arrise al suo primo contingente, la madre leonessa lanciò un ancor più numerosa muta di cani al loro seguito... [Alla fine i Sassoni] si lamentarono perché il compenso mensile non era sufficiente... e giurarono che avrebbero rinnegato il patto e depredato l'intera isola, qualora non fosse giunto un compenso più generoso. E senza indugio procedettero ad attuare le loro minacce... Il fuoco, appiccato e ravvivato dalla mano degli empi venuti da oriente, divenne incendio e divampò dall'uno all'altro mare devastando le città e le campagne circostanti, e si spense solo dopo avere fatto terra bruciata di quasi tutta l'isola, fino a lambire l'Oceano a occidente con le sue rosseggianti lingue di fuoco. »
(Gildas, Sulla rovina della Britannia.)
Secondo Beda, i Celti chiesero aiuto a Ezio all'epoca del suo terzo consolato (446) o, in alternativa, durante il regno congiunto di Marciano e Valentiniano III (450-455), ma il generale fu costretto a rifiutare per la minaccia unna. Gli invasori occuparono le terre sud-orientali dell'isola principale spingendo le popolazioni celtiche verso nord e ovest, in Caledonia (Scozia), nel Galles, in Cornovaglia e nella Hibernia (Irlanda). Alcuni Celti arrivarono ad attraversare la Manica verso sud, insediandosi nella penisola dell'Armorica, che da questa immigrazione prese il nome di Bretagna.
Gli Angli occuparono la parte centrale e orientale dell'antica Britannia, i Sassoni quella meridionale, mentre gli Juti, in minor numero, si stanziarono nell'estremo lembo sudorientale corrispondente più o meno all'attuale Kent. I Celti, scacciati dalle proprie terre, conservarono a lungo in maniera orale i ricordi della migrazione, che vennero redatti in forma scritta più tardi in poemi in gallese, nei quali si parla degli scontri tra un "dragone rosso" (i Celti) e un "dragone bianco" (gli Anglo-Sassoni). Da queste opere nacque nel XII secolo la leggenda di re Artù, che secondo alcuni potrebbe presentare i tratti di reali personaggi storici (si parla del funzionario romano in Britannia Lucio Arctorio o di un Aurelio Ambrosio).





Gli Unni

Migrazioni degli Unni e impiego come mercenari


Massima espansione dell'impero unno (arancione chiaro), 451 circa
Gli Unni, originari dell'Asia centrale, arrivarono in Europa nel V secolo. Nel 395 grandi concentrazioni di Unni erano ancora a nord del Mar Nero, da cui partirono in quello stesso anno incursioni che devastarono sia l'Impero romano d'Oriente che la Persia. Fu intorno all'inizio del V secolo che presumibilmente avvenne la migrazione nella grande pianura ungherese: nel 412-413, anno in cui lo storico e ambasciatore Olimpiodoro condusse un'ambasceria presso gli Unni, erano già stanziati lungo il corso medio del Danubio. Probabilmente, secondo la teoria di Heather, fu lo spostamento degli Unni a spingere Radagaiso a invadere l'Italia, Vandali, Alani, Svevi e Burgundi a invadere le Gallie, e Uldino a invadere la Tracia durante la crisi del 405-408. All'epoca dell'ambasceria di Olimpiodoro, gli Unni erano governati da molti re, ma nel giro di vent'anni, probabilmente attraverso lotte violente, il comando fu unificato sotto il comando di un unico re: Attila.
Negli anni 430 furono impiegati come mercenari dal magister militum Ezio per le sue campagne in Gallia, ottenendo, in cambio del loro appoggio, parte della Pannonia; grazie al sostegno degli Unni, Ezio riuscì a vincere nel 436 i Burgundi, massacrati dall'esercito romano-unno di Ezio, ridotti all'obbedienza e insediati come foederati intorno al lago di Ginevra; gli Unni risultarono poi decisivi anche nella repressione della rivolta dei bagaudi in Armorica e nelle vittorie contro i Visigoti ad Arelate, e a Narbona, grazie alle quali nel 439 i Visigoti accettarono la pace alle stesse condizioni del 418. La scelta di Ezio di impiegare gli Unni trovò però l'opposizione di taluni, come il vescovo Salviano di Marsiglia, autore del De gubernatione dei ("Il governo di Dio"), secondo cui l'impiego dei pagani Unni contro i cristiani (seppur ariani) Visigoti non avrebbe fatto altro che provocare la perdita della protezione di Dio, perché i Romani «avevano avuto la presunzione di riporre la loro speranza negli Unni, essi invece che in Dio». Si narra che nel 439 Litorio, arrivato ormai alle porte della capitale visigota Tolosa, che intendeva conquistare annientando completamente i Visigoti, permettesse agli Unni di compiere sacrifici alle loro divinità e di predire il futuro attraverso la scapulimanzia, suscitando lo sdegno e la condanna di scrittori cristiani come Prospero Tirone e Salviano, che si lamentarono anche per i saccheggi degli Unni contro gli stessi cittadini che erano tenuti a difendere. Litorio poi perse la battaglia decisiva contro i Visigoti e fu giustiziato. Secondo Salviano, la sconfitta degli arroganti Romani, adoratori degli Unni, contro i pazienti goti, timorati di Dio, oltre a costituire una giusta punizione per Litorio, confermava il passo del Nuovo Testamento, secondo cui «chiunque si esalta sarà umiliato, e chiunque si umilia sarà esaltato.»

Gli Unni all'attacco.
La situazione cambiò drasticamente quando a capo degli Unni salì Attila nel 445, la cui ferocia è rimasta leggendaria. Questi, già nel 441-442, quando condivideva ancora il governo con il fratello Bleda, attaccò i territori dell'Impero romano d'Oriente approfittando dello sguarnimento del fronte danubiano dovuto all'invio di una potente flotta da parte dell'Impero d'Oriente nel tentativo di recuperare Cartagine ai Vandali. Gli Unni espugnarono rapidamente Vidimacium, Margus e Naissus, costringendo l'Impero d'Oriente a rinunciare alla guerra contro i Vandali, richiamando la flotta, e poco tempo dopo, a comprare la pace accettando di pagare un tributo di 1400 libbre d'oro all'anno. Teodosio II, però, ritornata la flotta, smise di pagare il tributo agli Unni, nella speranza che con i Balcani non sguarniti di truppe e con il potenziamento delle difese, sarebbe riuscito a respingere gli attacchi unni. Quando gli arretrati raggiunsero le 6000 libbre d'oro, nel 447, Attila protestò, e al rifiuto dell'Imperatore di sborsare le 6000 libbre d'oro in questione, il re unno reagì con la guerra. Nell'invasione del 447, Attila sconfisse più volte gli eserciti romano-orientali, non riuscendo ad espugnare Costantinopoli, ma devastando gli interi Balcani Orientali e costringendo l'Impero romano d'Oriente ad accettare una pace umiliante:
« [Tutti] i fuggiaschi dovettero essere riconsegnati agli Unni, e bisognò versare 6000 libbre d'oro per le rate arretrate del tributo; e di lì in avanti il tributo stesso sarebbe stato di 2100 libbre d'oro all'anno; per ogni prigioniero di guerra romano [preso dagli Unni] che fosse scappato e riuscito a tornare in patria senza [che per lui fosse pagato alcun] riscatto, si sarebbero versati dodici solidi ... e ... i Romani non avrebbero dovuto accogliere gli Unni fuggiaschi. »
(Prisco, Storie.)
Inoltre l'Impero d'Oriente dovette evacuare la zona a sud del Dabubio «larga cinque giorni di viaggio».


Carta storica che descrive l'invasione della Gallia da parte degli Unni nel 451 d.C., e la battaglia dei Campi Catalaunici. Sono mostrati i probabili itinerari, e le città conquistate o risparmiate dagli Unni.
Onoria, sorella di Valentiniano, nella primavera del 450 aveva inviato al re degli Unni una richiesta d'aiuto, insieme al proprio anello, perché voleva sottrarsi all'obbligo di fidanzamento con un senatore: la sua non era una proposta di matrimonio, ma Attila interpretò il messaggio in questo senso, ed accettò pretendendo in dote metà dell'Impero d'Occidente. Quando Valentiniano scoprì l'intrigo, fu solo l'intervento della madre Galla Placidia a convincerlo a mandare in esilio, piuttosto che ad uccidere Onoria, e ad inviare un messaggio ad Attila, in cui disconosceva assolutamente la legittimità della presunta proposta matrimoniale. Attila, per nulla persuaso, inviò un'ambasciata a Ravenna per affermare che Onoria non aveva alcuna colpa, che la proposta era valida dal punto di vista legale e che sarebbe venuto per esigere ciò che era un suo diritto.
Forte di un esercito che contava tra i 300.000 e i 700.000 uomini, il più grande in Europa da duecento anni a quella parte, Attila attraversò la Gallia settentrionale provocando morte e distruzione. Conquistò molte delle grandi città europee, tra cui ReimsStrasburgoTreviriColonia, ma fu sconfitto contro le armate dei Visigoti, dei Franchi e deiBurgundi comandati dal generale Ezio nella Battaglia dei Campi Catalaunici.

Incontro tra Leone il Grande e Attila, Affresco, 1514, Stanza di Eliodoro, Palazzi Pontifici, Vaticano. L'affresco fu completato durante il pontificato di Leone X (papa dal 1513 al 1521). Secondo la leggenda, la miracolosa apparizione dei Santi Pietro e Paolo armati con spade durante l'incontro tra Papa Leone e Attila (452) avrebbe spinto il re degli Unni a ritirarsi, rinunciando al sacco di Roma.
Attila tornò in Italia nel 452 per reclamare nuovamente le sue nozze con Onoria. Attila cinse d'assedio per tre mesiAquileia, e, secondo la leggenda, proprio mentre era sul punto di ritirarsi, da una torre delle mura si levò in volo una cicogna bianca che abbandonò la città con il piccolo sul dorso; il superstizioso Attila a quella vista ordinò al suo esercito di rimanere: poco dopo crollò la parte delle mura dove si trovava la torre lasciata dalla cicogna. Attila conquistò poi Milano e si stabilì per qualche tempo nel palazzo reale. Famoso è rimasto il modo singolare con cui affermò la propria superiorità su Roma: nel palazzo reale c'era un dipinto in cui erano raffigurati i Cesari seduti in trono e ai loro piedi i principi sciti. Attila, colpito dal dipinto, lo fece modificare: i Cesari vennero raffigurati nell'atto di vuotare supplici borse d'oro davanti al trono dello stesso Attila. Attila si fermò finalmente sul Po, dove incontrò un'ambasciata formata dal prefetto Trigezio, il console Avienno e papa Leone I (la leggenda vuole che proprio il papa abbia fermato Attila mostrandogli il crocifisso). Dopo l'incontro Attila tornò indietro con le sue truppe senza pretese né sulla mano di Onoria, né sulle terre in precedenza reclamate. Sono state date diverse interpretazioni della sua azione. La fame e le malattie che accompagnavano la sua invasione potrebbero aver ridotto la sua armata allo stremo, oppure le truppe che Marciano mandò oltre il Danubio potrebbero avergli dato ragione di retrocedere, o forse entrambe le cose sono concausali alla sua ritirata. La "favola che è stata rappresentata dalla matita di Raffaello e dallo scalpello di Algardi" (come l'ha chiamata Edward Gibbon) diProspero di Aquitania dice che il papa, aiutato da Pietro apostolo e Paolo di Tarso, lo convinse a girare al largo dalla città. Vari storici hanno supposto che l'ambasciata portasse un'ingente quantità d'oro al leader unno e che lo abbia persuaso ad abbandonare la sua campagna, e questo sarebbe stato perfettamente in accordo con la linea politica generalmente seguita da Attila, cioè di chiedere un riscatto per evitare le incursioni unne nei territori minacciati.
Quali che fossero le sue ragioni, Attila lasciò l'Italia e ritornò al suo palazzo attraverso il Danubio. Da lì pianificò di attaccare nuovamente Costantinopoli e reclamare il tributo che Marciano aveva tagliato. Comunque, morì nei primi mesi del 453; la tradizione, secondo Prisco, dice che la notte dopo un banchetto che celebrava il suo ultimo matrimonio (con una gota di nome Krimhilda, poi abbreviato con Ildiko), egli ebbe una copiosa epistassi e morì soffocato. I suoi guerrieri, dopo aver scoperto la sua morte, si tagliarono i capelli e si sfregiarono con le loro spade in segno di lutto così che, dice Giordane, "il più grande di tutti i guerrieri dovette essere pianto senza lamenti femminili e senza lacrime, ma con il sangue degli uomini".

Collasso del suo impero

Dopo il suo decesso, l'Impero unno si disgregò rapidamente a causa dell'incapacità dei successori di Attila di reprimere le rivolte per l'indipendenza dei sudditi degli Unni, portando alla rapida caduta dell'Impero unno. Il primo gruppo ad ottenere l'indipendenza fu quello dei Gepidi di re Arderico, che, approfittando di una lotta per la successione tra i tre figli di Attila (DengizichEllac e Ernac), colsero l'occasione per rivoltarsi, riuscendo a sconfiggere nel 453-454 l'esercito unno inviato per sopprimere la rivolta presso il fiume Nedao, costringendo gli Unni a riconoscere loro l'indipendenza. Giordane scrisse che con questa vittoria Arderico «liberò non solo la sua tribù, ma anche tutti gli altri popoli oppressi» dal giogo degli Unni, ma sembra che Giordane abbia semplificato troppo la vicenda e che in realtà le lotte per l'indipendenza dei vari popoli durarono parecchi anni: infatti, la battaglia del fiume Nedao avvenne nel 453/454, ma l'Impero unno collassò definitivamente solo nel 468.Negli anni successivi tutti gli altri gruppi (come SciriRugiEruliLongobardiOstrogoti) ottennero gradualmente l'indipendenza dagli Unni, e nel 468 gli Unni persero definitivamente la propria indipendenza, finendo per essere arruolati come mercenari dall'Impero romano d'Oriente.

Ex sudditi degli Unni

Gli Eruli

A partire dal 465 ca., collassato l'Impero unno, Sciri, Rugi e altri gruppi germanici, un tempo sudditi degli Unni, migrarono in Italia, dove vennero reclutati nell'esercito romano come mercenari dal generale romano di origini barbariche Ricimero. La vita di San Severino narra che, durante il suo viaggio in Italia, Odoacre si fermò nel Norico e incontrò Severino il quale gli predisse il suo successo.
La pesante crisi sofferta dall'Impero romano d'Occidente culminò con la rivolta dei mercenari barbari presenti in Italia, che, sotto la guida di Odoacre, deposero l'ultimo Imperatore romano d'OccidenteOdoacre, infatti, era re degliEruli, e mise definitivamente fine all'esistenza ormai solo "formale" dell'Impero d'Occidente, deponendo l'imperatore fantoccio Romolo Augusto (476) e rispedendo le insegne imperiali a Costantinopoli da Zenone, che ringraziò conferendogli il titolo di "patrizio" e concedendogli il governo dell'Italia, che Odoacre tenne fino al 493, quando venne sconfitto dagli Ostrogoti di Teodorico. L'evento della deposizione fu in realtà solo una formalità, che non destò grande scalpore tra i contemporanei, ma che è stato poi scelto dagli storiografi come evento culminante che convenzionalmente separa l'Evo Antico dal Medioevo.
Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente molte tribù germaniche si riversarono nei suoi territori, andando a costituire i cosiddetti regni latino-germanici.

Gli Ostrogoti

Gli Ostrogoti erano un gruppo di Goti sudditi degli Unni. Giordane scrisse che tutti i Goti (cioè gli Ostrogoti) che non avevano chiesto ospitalità all'Impero d'Oriente nel 376 e che erano finiti sotto l'egemonia degli Unni furono per lungo tempo governati dal Casato degli Amali, ma per alcuni studiosi, questa sua affermazione è di dubbia attendibilità: la sua fonte, la storia gotica di Cassiodoro, era una sorta di storia celebrativa delle gesta degli Ostrogoti e del Casato degli Amali, per cui potrebbe aver distorto, accentuandola di parecchio, l'effettiva importanza del Casato degli Amali, a cui Teodorico, il commissionatore dell'opera, apparteneva. Giordane scrive che, prima dell'ascesa al potere di Valamer Amal, zio di Teodorico, i Goti non erano affatto governati dagli Amali, e narra delle imprese di un non ben precisato re Balamber, che avrebbe sconfitto diversi capi tribali goti. Heather ha ipotizzato che questo Balamber vada identificato con Valamer, in quanto Valamer e Balam(b) er in greco si scrivono allo stesso modo, e dunque la sua "scissione" in due personaggi distinti sarebbe stato un "pasticcio" di Giordane.Secondo Heather, quindi, solo in seguito alle gesta belliche di Valamer, la dinastia degli Amali riuscì a unificare sotto il suo controllo diversi gruppi distinti di Goti, sconfiggendo i loro capi tribali; secondo lo stesso Heather, queste lotte per l'unificazione del comando sotto un unico re avvenuta tra gli Ostrogoti, sarebbe da datare in seguito al decesso di Attila, perché il re unno era troppo intelligente e carismatico per permettere un processo che rischiava di minare l'egemonia unna.
Una volta unificati sotto il comando di Valamer, gli Ostrogoti sconfissero in battaglia gli Suebi, i quali, allora, sobillarono altri gruppi barbari, come ad esempio gli Sciri, contro gli Ostrogoti: gli Sciri riuscirono a uccidere in battaglia Valamer, ma gli Ostrogoti riuscirono comunque a vendicare l'uccisione del loro re sconfiggendoli e sottomettendoli. Gli Svevi, gli Sciri superstiti, i Rugi, i Gepidi, i Sarmati e altri gruppi di barbari, a questo punto, si coalizzarono tra di loro per cercare di contrastare l'egemonia degli Ostrogoti, ma vennero anch'essi sconfitti dagli Ostrogoti in una battaglia combattuta presso il fiume Bolia.Nel corso di queste lotte per l'egemonia nella zona, gli Ostrogoti combatterono anche contro gli Unni, uscendone vincitori; l'aumento della potenza degli Ostrogoti e l'indebolimento degli Unni è esemplificato dagli obiettivi degli Unni nelle due campagne: se la prima volta gli Unni erano intenzionati a scontrarsi con gli Ostrogoti per sottometterli nuovamente sotto il loro giogo, nella seconda campagna, avvenuta anni dopo, cercarono semplicemente di arrestare il processo di espansione degli Ostrogoti.
Gli Ostrogoti, stanziati nella zona dell'attuale Serbia a seguito della disgregazione degli Unni, furono ingaggiati dall'imperatore d'Oriente Zenone per liberare l'Italia dal dominio di Odoacre. Sotto la guida del loro capo Teodorico, si trasferirono in Italia nel 489 e riuscirono a sconfiggere Odoacre. Teodorico ottenne dall'imperatore Anastasio I il titolo di patricius e il suo popolo ottenne pieni diritti sulle terre occupate.